I pazienti al Centro: la storia del Signor Eugenio

 

Il signor Eugenio viene per la cura dei piedi ogni circa 3 mesi da quando il Centro ha aperto nel 2011. Ha 92 anni, la corporatura media, un moderato balbettio unito alla tendenza a ripetere certi concetti e parole: spesso fa battute anche autoirnoiche sulla sua condizione, ma impiega moltissimo tempo per dirle e molto spesso sono le stesse che mi ha già detto nel corso degli anni o, nei casi peggiori, della giornata. Nonostante tutto però è in buona salute e, anche se prende qualche medicina di troppo, clinicamente e mentalmente può fare invidia a molte persone più giovani di lui. Fortuna per la moglie, visto che, stando a ciò che racconta Eugenio, la poverina è tanto brava e santa… ma non ha mai sviluppato la sindrome della crocerossina e mai saprebbe prendersi cura di lui. Eugenio sa essere davvero testardo a volte e questo cozza con la sue sostanziali bontà d’animo e gentilezza. Il problema è fargli digerire le terapie, le nuove piccole scelte di vita che deve affrontare con la sua età. Ha sempre vestito in completo elegante, tutte le volte che l’ho mai visto. Camicia e cravatta. giacca e cappotto. Primavera e inverno. Ha sempre portato una borsa simil ventiquattro ore, di quelle non completamente rigide e di tessuto impermeabile, due scarpe eleganti. A vederlo in giro per strada o intrufolarsi nello studio sembra proprio un rappresentante, uno di quei rappresentati che non vogliono smettere di lavorare. Ma lui di lavorare ha smesso da tempo… eppure quel vestito, che scherzosamente su mia domanda ha ammesso di indossare anche a letto, lo fa sentire ancora un po’ così. Un po’ lavoratore, o forse un po’ giovane. Magari semplicemente dignitoso.


È per questo che è stato così difficile fargli cambiare quel paio di scarpe dignitose in cuoio, davvero incompatibili con le sue ferite al piede, con quelle più consone modello ortopedico con la tomaia elastica. Non ne voleva sapere, diceva che non capiva di quali scarpe parlassi. Alla fine dopo impegni estenuanti riuscimmo a guarire le ferite. comprò le scarpe (lamentandosi che erano troppo larghe) e sparì per qualche mese. Quando tornò aveva sempre le scarpe eleganti in cuoio e due ferite che impiegai 2 mesi a far di nuovo guarire. Che frustrazione… Quanto lo sgridai quel giorno! “Lei deve usare le scarpe ortopediche! Non si può permettere queste!”. Niente da fare, capivo che i miei messaggi non andavano a segno, a fine visita però qualcosa accadde. Dovette rimettersi le scarpe eleganti, e non riuscì proprio in alcun modo a farci entrare il piede. Intuendo quello che stava succedendo, tenni la luce del riunito podologico spenta per non aiutarlo a compiere la sua impresa, mentre nel suo dignitoso silenzio falliva in tutti i modi a inserire il tallone nel contrafforte della calzatura. Impiegammo un quarto d’ora in due a rimettere le scarpe. Gli dissi che non avrei mai più avuto tutto quel tempo per aiutarlo a rivestirsi. La cosa funzionò e da allora impiegò le scarpe giuste. Ma sono sicuro che non fu per la difficoltà a rimettersi le scarpe da solo che da allora adoperò il modello ortopedico: fu la vergogna, il silenzioso e raccolto imbarazzo che aveva provato quel giorno. Furono loro a spostare quell’asticella della dignità.
Oggi è tornato; le ferite non si sono più ripresentate, lui non ha perso la sua vena di fare battute incespicando con le parole all’inizio della frase. È abituato al fatto che gli rimetta calze e scarpe dopo la visita. In più oggi, perché potevo spendere qualche secondo in più con lui, l’ho aiutato a rimettersi la giacca e gli ho passato la sua simil ventiquattro ore prima che uscisse. Era vuota.

(questa storia è stata pubblicata con il consenso dei loro protagonisti ai sensi del d. lgs 196/2003 INORMATIFIVA PRIVACY in materia dei protezione dei dati. Titolare del trattamento dei dati Dr. Andrea Bettinelli, sede in Piazza Roma 6/D 20016 Pero MI)